Sono passate poche ore dal momento in cui con Michele Ascolese, Giovanni Falzone ed Enzo Pietropaoli sono salito (e subito poi ridisceso) dal palco del Premio Fabrizio De André.
L’emozione di poter avvicinare il mio nome a quello di un gigante della musica, di suonare davanti a Dori Ghezzi e al pubblico attento e caloroso è una di quelle cose, di brevissima durata (esibizione di soli 10 minuti), che rimangono a lungo come echi stellati.
Con Tutti Morimmo a Stento iniziai a suonare la chitarra e quelle prime note e quegli accordi decisamente semplici ma stupendamente compositi mi facevano capire che io di quell’uomo, di Fabrizio, di Faber (per le matite che usava portarsi dietro), di De André insomma mi potevo fidare.
“POP”, si chiamava così il nastro TDK che mio padre teneva in macchina per ascoltarsi quell’autore così intenso e così “POP”, così POPolare in fondo, sentivo le origini di un racconto dove l’uomo e il suo “IO” musicale andavano a braccetto tra luoghi inconsueti e personaggi strampalati.
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